Davanti a fenomeni nuovi, che investono radicalmente l'economia e disgregano il sociale servono forze e forme altrettanto nuove di intermediazione. In Francia, un gruppo di ricercatori e startupper indipendenti si è mosso dando vita all'Observatoire sur l'uberisation. E il 18 ottobre lancia l'appello per gli "Stati Generali" dell'uberizzazione.
Nato dal nome di una società di trasporto atipico - la Uber, azienda fondata nel 2009 a San Francisco che propone servizi di trasporto alternativi ai taxi - il neologismo "uberizzazione" è oramai entrato nell'uso comune, ma che cosa comporti sul piano economico e, soprattutto, su quello sociale è ancora poco chiaro. Anche perché, il fenomeno di cui Uber è al tempo stesso conseguenza e causa va ben al di là del settore dei trasporti cittadini.
Con uno smartphone e i servizi di geolocalizzazione integrata, tutti possono competere con tutti e, almeno per ora in linea teorica, accettare da tutti "lavori a chiamata". Tassisti, ma anche baby sitter, idraulici e persino medici. Un servizio? O una vera e propria dinamica finanziaria che rischia di travolgere e portare via con la piena, al netto delle rendite di posizione, interi settori della nostra economia?
Uberizzazione
L'uberizzazione nasce all'incrocio fra economia della condivisione e innovazione tecnologica, toccando tanto la ricerca di una maggiore competitività delle imprese quanto - e questo è il lato spesso lasciato nell'ombra - il desiderio di libertà e indipendenza di moltissimi cittadini-consumatori. Si tratta di un fenomeno che, partito da un micro segmento delle nostre economie (i trasporti), sta impattando con conseguenze davvero radicali su tutto il settore dell'offerta di beni e servizi. Talvolta, uberizzazione è usato come sinonimo di "disruption", distruzione.
Il neologismo "uberizzazione" indica almeno due fenomeni legati con il processo di progressiva finanziarizzazione dell'economia quotidiana. Da un lato, "uberizzazione" significa conversione di servizi e prestazioni lavorative continuative, tipiche dell’economia tradizionale in attività che invece vengono svolte solo su richiesta, a cottimo come si diceva un tempo. Dall'altro, indica un modello di business improntato a quella che il gergo aziendale chiama gig economy.
Gig economy
Ma che cos'è la gig economy? È un modello dove le prestazioni lavorative stabili sono azzerate e, di conseguenza, gli impiegati e i dipendenti a tempo indeterminato praticamente non esistono, poiché l'offerta di prodotti o servizi avviene solo "on demand", quando c'è richiesta.
Grazie alle nuove tecnologie, sia sul piano della fornitura di beni e servizi sia su quello del settore manifatturiero, questo modello è diventato estremamente pervasivo. Con ricadute qualitative immediate, ma non sempre quantificatificabili.
Settori uberizzati
Tra i settori oggi fortemente "uberizzati" ci sono i taxi, le librerie, gli hotel (dove oramai si sta affermando il modello-cassaforte robotizzato, senza portiere o personale: tutto automatizzato, dalla prenotazione al check-out), le banche, le professioni giuridiche e la ristorazione. Oggi, a frenare l'uberizzazione sono ostacoli - "sfide" preferiscono chiamarle i guru dell'uber for all - di natura fiscale, sindacale e territoriale. Puntelli che, dinanzi alla digitalizzazione sempre più integrale, rischiano di essere considerate - e talvolta lo sono davvero - come "inutili rivendicazioni" o "rendite di posizione" fuori dal tempo.
Guidare i processi in corso o farsi trascinare
Capire i processi è necessario per accompagnarli e rinnovare i diritti sociali e del lavoro. Ne sono convinti Grégoire Leclercq, di professione imprenditore, e i numerosi colleghi con cui ha fondato l'Observatoire de l’ubérisation. A metà tra il centro studi e il meet-up, indipendente, composto da ricercatori sociali, startupper e da addetti di quello che un tempo si sarebbe chiamato "terziario avanzato", l'Osservatorio fa i conti con la modernità e con le spinte - digitalizzazione, valorizzazione dell'esperienza dell'utente, indipendenza" - che ad oggi sembrano indicare nell'uberizzazione un fenomeno che sul medio lungo periodo risulterà vincente.
Scopi dell'Osservatorio, spiega Leclercq, sono; praticare ricerca e innovazione sul tema del finanziamento del sistema sociale, riattivare il dialogo sociale con nuovi intermediari, studiare nuove regole fiscali per il lavoro e mettersi in campo per una proposta di riforma del diritto del lavoro.
L'uberizzazione si mescola con altri fenomeni: la disruption, ovvero la fine di interi settori lavorativi in seguito al passaggio al digitale, e la sharing economy. Fenomeni non sempre, di per sé, negativi, ma- afferma Leclerq - "proprio per questo da studiare. Siamo dentro un processo e dobbiamo capire come non affondare. Si tratta di un fenomeno complesso e dalle molte facce, dobbiamo capire questa complessità e affrontarla per quello che è, ma con urgenza".
Stati Generali dell'uberizzazione:18 ottobre
Proprio per questo, il 18 ottobre prossimo, l'Osservatorio lancia "Les Asise de l'Ubérisation", un incontro modello "Stati Generali" per "riunire economisti, decisori, imprenditori, grandi aziende, parlamentari, donne e uomini impegnati in poltiica, sindacalisti, giornalisti e far discutere sulla rivoluzione digitale, sociale e economica in corso". Alla domanda più specifica sul "cosa" si discuterà, Leclercq spiega che si discuterà di "adattamento": "come possiamo adattarci a questi mutamenti? Dobbiamo accettarli così come sono, tentare di governarli o combatterli punto e basta? Quali nuove forme di lavoro dovremmo favorire? Queli invece dovremmo preservare dall'uberizzazione? Domande per ora senza risposta che è comunque importante porsi e porsi con urgenza"
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Animé par la Fédération Nationale des auto-entrepreneurs (FNAE), cet observatoire a pour but d'analyser l'ubérisation, d'apporter un constat précis et de proposer des pistes de réflexion autour de la réforme du code du travail, du dialogue social, de l'évolution du Droit, de la protection des travailleurs affiliés aux plateformes...